20 luglio 2012

Volevo fare l'astrofisica. Ma non ho trovato nessun poster di Margherita Hack.

Regola #1
'Per sentirti un esponente del lavoro che fai, o al quale aspiri, devi necessariamente mostrarlo e dimostrarlo.'
Testualmente. 

Questa è una delle regole che più fatico a comprendere. 
Il mio lavoro, o per meglio dire, aspirazione di lavoro, è fare l'architetto. 
Quando lo dico, soprattutto ad alta voce, posso sentire il boato di risate che mi risuona nella testa. Che per me ha il puro e semplice sapore di "Ma 'ndo cazzo vai?" o "Ma quanno la portamo a casa la pagnotta?". 
Ed è vero. Tutto vero. 


È vero che le passioni non sempre sfamano. In tutti i sensi. 
Ed è vero che spesso anche il compromesso è la regola . Anzi, non spesso. Sempre.
Io ho trovato il mio, di compromesso. E ho seguito una mia attitudine. Si, così la chiamavano. Attitudine. O passione. 
Il problema? 
Pare che io non abbia le carte in regola per farlo.
Perchè?
Perché sulle pareti di casa non ho un poster della Casa sulla cascata, una bozza di disegno di Renzo Piano o una foto del Guggenheim di Bilbao. 
Le mie pics personali non ritraggono me sotto il Burj Al Arab o sul Millennium Bridge. Non disquisisco per ore su quanto possa essere così maledettamente funzionale un bagno con disimpegno e su come il blu avio abbia definitivamente lasciato il posto all'ormai sputtanato tortora.
Questo fa di me un non architetto. O un architetto meno architetto di altri architetti. 


Faccio un respiro e non appena cesseranno le risate nella mia testa riprenderò a scrivere. 

Le discussioni, i comizi, i summit, e i congressi su servizi igienici, cabine armadio, porte REI, vani scala, alcova e polilinee, le faccio nella mia testa, quando e se necessario, quando e se lo voglio, quando e se richiesto. 
Ma per personale attitudine non riesco a fare dell'architettura un baluardo della mia esistenza. 
Questo, secondo gli "standard", dovrebbe vedermi sempre meno adeguata.

Le pareti della mia stanza, prima di farmi una camera da letto "da bimba grande", ospitavano le mie passioni più pure. 
Quelle passioni conclamate, innocenti e non dolenti. 
Locandine dei miei film cult, da Tempi Moderni a Tarantino, Tim Burton e Kubrick. Immagini di Marte ritratte dalla Pathfinder. Un double McTwist 1260. E poi foto, una valanga di foto.


Premettendo che non diventeró un Charlie Chaplin del XI secolo solo perché la bombetta non mi dona (non per altro), credo che per quanto riguarda me, la regola inizialmente citata, non valga.

La passione più dura da mostrare, quella più difficile da spiegare, esternare e dimostrare, è quella con la quale un giorno litighi e un giorno fai l'amore, un giorno ammiri ad occhi aperti e il giorno dopo prendi a calci. Alternativamente.

Io ho deciso di affrontarla e mostrarla ogni giorno della mia vita, scegliendola, mi auguro, come lavoro. 
Più amore di questo.
Nessuna giustificazione o dimostrazione iconografica.

Regola #1.1
'Per sentirmi un esponente del lavoro che faccio, o al quale aspiro, devo necessariamente celarlo agli occhi e mostrarlo al cuore.'


N.B.: Gli architetti dicono un sacco di cazzate.



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